1. Pensieri su di un bar da una ragazza maleducata di buona famiglia

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    Venerdì 5 luglio 2013 – Bar Revenge, viale Manzoni


    Caffè freddo in un bar gestito da una coppia di cinesi che si chiama “Revenge”, e mi parte l’idea che sia alla faccia dell’altro bar più grande e frequentato che sta proprio sopra l’uscita della fermata della metro come un’oasi d’aria condizionata dopo il monte delle scale mobili.
    E comunque, questo caffè freddo di Shangai, a me che il caffè freddo non m’è mai piaciuto, sembra ottimo.
    A un tavolino in tovaglietta blu alla mia sinistra, un uomo in jeans e occhiate tra l’ansioso e l’imbarazzato tenta un paio di partite alla slot machine.
    Hai capelli sale e pepe, un enorme orologio col cinturino verde acido e lo sguardo ora completamente assorto verso lo schermo colorato.
    Rigira la pila di gettoni nella mano come strofinasse stile rituale la palla prima del lancio decisivo nei film sul baseball.
    Gianna Nannini su Radio Subasio ci ricorda che neanche il più grande degli artisti può produrre solo capolavori vita natural durante.
    Qualcuno dovrebbe dirlo a Woody Allen.
    Lo scroscio di gettoni contro la lamiera attira la mia attenzione; l’uomo sa il fatto suo a “Eggstra Fowl play”.
    In tutto questo non è da tralasciare la restante clientela del Revenge.
    A parte turisti e passanti sfiniti che entrano ed escono per acque o ghiaccioli, all’altro capo del locale in un tavolino solitario, siedono senza avere l’aria di doversi curari di affari impellenti altri tre avventori, la cui terra di origine non mi é del tutto chiara. Uno dei tre è senza dubbio sudamericano, quei tratti caratteristici come se la Cordigliera glieli avesse marcati addosso.
    Bevono birra e sul tavolo c’è anche qualcosa di scuro con ghiaccetti che pare amaro o simili.
    Guardano i passanti. Ogni tanto scoppiano in risate complici, ma che mi danno l’impressione di avere un qualche retrogusto di triste.
    L’andino, che mi aveva guardato al mio ingresso nel bar, trova una sorta di scusa per avvicinare gli occhi alla tasca posteriore dei miei shorts quando devo passargli vicino per andare verso il bagno.
    Proprio mentre scrivo queste very ultime parole, sul mio braccio sinistro si spalmano i glutei di una turista di età imprecisata, direi decisamente over 35, che si siede accanto a me con un'amica a prendere un caffé. Come te sbagli, non ce la faccio ovviamente a desistere dall'intromettermi nei loro discorsi riguardo il cenare nel suddetto bar Revenge,nei quali guardano le figure del menù con speranzosa ingenuità. Tento di proporre loro un posto decente dove cenare, che i fatti miei proprio non me li so fare, il tutto in un baretto minuscolo e poco popolato e quindi facilmente udibile dai poveri gestori.
    Non sembrano convinte, comunque se ne vanno.
    Credo che l'uomo alla slot alla fine abbia perso.

    Edited by Mannaiaalleminne - 13/7/2013, 11:43
    Last Post by Zelig il 10 July 2013
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  2. BOZZA ROMANZO

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    Tratto da una storia vera



    Tutto era finito eppure non era affatto come l’avevo immaginato.
    Erano ormai passati un anno e sei mesi dall’arrivo degli americani a Roma, arrivo che aveva finalmente ricongiunto le “due italie” in lotta – i fedeli del fascio contro i partigiani e gli incalzanti alleati- e che aveva quindi permesso alle famiglie di avere notizie dei parenti sparsi in altre regioni. Finalmente zia Teresa e mia mamma avevano potuto ricevere le rispettive lettere, e rassicurarsi: mia zia riguardo alla figlia, mia cugina Maria, che era qui con noi per studiare. Mia madre riguardo a come andavano le cose giù a Spinazzola, se c’era da mangiare, se era sicuro mandarci i figli per sottrarli alla fame e all’esasperazione. Perché, ancora in quell’estate e in quell’autunno del ’45, al sollievo - parziale - degli animi non era seguito il sollievo dei corpi: nonostante avessimo visto coi nostri occhi quel vero pane di un bianco scioccante arrivare con quei soldati che chiamavano liberatori, facevamo ancora a turno per andare con lo sgabello davanti al mercato di Piazza dell’Unità, in quelle ore che non sapevi se definire notte fonda o mattina presto, ad aspettare il debole torpore dell’alba che annunciava la fine del coprifuoco e poi l’apertura alle otto per poter ottenere quei tozzi fatti più con gesso che con farina che chiamavano pagnotte cirioline.
    Fu principalmente per questo che mia madre decise che insieme a Maria che tornava giù in Puglia sarebbe andato mio fratello Tullio che, allora tredicenne, non poteva sopportare ancora a lungo la scarsità di risorse nella capitale e avrebbe quindi fatto la terza media al paesino agricolo da dove la famiglia di mamma proveniva, e lì avrebbe finalmente ricominciato a crescere in altezza e corporatura. Partirono quell’estate, dopo la fine dell’anno scolastico, a bordo di una camionetta di un possidente spinazzolese che tornava a casa dopo gli affari, i cui figli erano stati allievi di zia Teresa ai tempi della scuola elementare.
    Ricordo che in quell’anno sentii molto la mancanza della mia cugina più grande, del nostro sostenerci e consolarci a vicenda, condividendo la fame, la sofferenza, l’amenorrea, tante paure e segrete domande che ci ponevamo in quegli anni del liceo e della guerra. Di lei ammiravo l’essere allo stesso tempo pervasa da determinazione e da un soffio di quella spensieratezza che mancava ai più, nei mesti tempi che correvano. Quando sedevamo nel giardino, in febbraio, a carpire il più flebile calore che il sole invernale poteva offrirci, io le dicevo “pensa che proprio in questo momento, da qualche parte su uno dei tanti fronti nel mondo, un nostro coetaneo sta morendo, la vita di un ragazzino è recisa, la sua giovinezza rubata, e lui non potrà mai realizzare i suoi sogni, invecchiare coi nipoti..” e cominciava a tremarmi la voce; allora lei posava la sua mano sempre tiepida sulla mia, la stringeva forte, e cercava di rassicurarmi anche se non era che poco più di ...

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    Last Post by Zelig il 9 July 2013
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  3. Diario di viaggio. Augusta

    Diario di viaggio- Augusta
    10 aprile 2002

    Mi trovo in provincia di Siracusa, a trovare mia cugina. La sua famiglia vive in una casa un po’ fuori mano, all’interno di un comprensorio che da fuori sembra una felice isola di tranquillità ovattata lontano dagli “affanni” della città, una “mulinobianco city” piena di quel sole che ristora le membra di noi cittadini di grandi metropoli.
    Da quando sono venuta a conoscenza dei soliti luoghi comuni ho cominciato a preoccuparmi per quella bimba così solare, beneducata e all’antica: avevo paura che con la crescita avrebbe perso il candore che i suoi genitori avevano tanto bene preservato, ero convinta che avessero studiato nei particolari un modo per far sì che lei e suo fratello venissero su come i migliori dei pargoli, tanto “bravi” e felici di esserlo quanto ignari della realtà circostante, specialmente quella a loro più direttamente vicina, quella di una Sicilia degradata ancora nel XXI secolo. Solo ora mi rendo conto che, anche se conosco poco i miei cugini e ormai li vedo ancora di meno, hanno sempre mantenuto e manterranno quell’integrità che da piccola chiamavo provincialismo grazie ai valori custoditi dentro di sé, i quali ,se ben radicati come i loro,sono “duri a morire”.
    Con il bagaglio di convinzioni che al tempo avevo, mi immergo nella realtà di quella famiglia, accogliente, serena, in un momento che non potrebbe essere più rappresentativo: la visita dei parenti durante le vacanze di Pasqua… quale occasione migliore per sfoderare le nostre arti di edulcoramento delle cose attraverso una felicità forzata? Ma senza generalizzare né vedere marcio ovunque, qui stavo parlando d’altro.
    Siamo venuti per stare una settimana, tempo nel quale ho modo di conoscere gli amici di mia cugina e la loro vita quotidiana, le riunioni pomeridiane davanti al cancello, le scampagnate alla scogliera odorosa di vegetazione mediterranea dove ci si cimenta in gare di tuffi, i giri in tre in motorino senza casco per le strade sterrate e gli spazi brulli che circondano il comprensorio, lo scenario, tra i palazzi in costruzione, degli sprazzi di spiaggia che si intravedono tra una colonna e l’altra della raffineria di Priolo, nuova venuta, che ha certamente deprezzato le case a causa del mancato panorama.
    Sono piccola, ingenua. Mi godo le vacanze, mi sento orgogliosa perché sono la nuova venuta, direttamente dalla capitale, sono quindi fonte di curiosità e attenzione, questo mi piace un sacco. Posso atteggiarmi un po’ e la cosa non mi dispiace affatto; quando mi portano , la sera, ad una delle loro festicciole autorganizzate per i pochi ragazzi del comprensorio mi diverto a ballare e sento gli occhi delle altre ragazze su di me, stupite dalla mia mancanza di timidezza, e penso che si veda la differenza tra di noi, che attribuisco al loro ondeggiare goffamente mentre io mi muovo con una certa qual esperienza(secondo la mia percezione sbruffona, chiaro, magari invece nessuno pensa nulla di tutto ciò)....

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    Last Post by Zelig il 9 July 2013
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  4. Tirititì
    racconto surreale. prova. 2007

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    tirititì!
    Squilla il cellulare di Matteo. Tittiritittititittiritittiti..click! Era solo la sveglia. Già le sette merda e sto solo a pagina 20…ma l’avevo messa alle sette di mattina, e menomale che sto cellulare c’aveva un buon rapporto qualità-prezzo, pensa Matteo e sta per ripoggiare gli occhi sul libro quando viene distratto dalle luci colorate che lo schermo acceso del “vecchio scatolone” 70 pollici proietta sul muro. Si gira, e osserva la nonna incantata e assente al mondo, beata con le sue cuffie a guardare “i pacchi”, conduce Pupo. Da una parte beata lei, almeno non si vede con gli occhi degli altri e non gliene frega niente…secondo me i 500000 euro stanno in quello dell’Abruzzo stavolta..ecco, ce manca che mi ci fisso pure io, rimugina, riconvincendosi a leggere. Prende in mano la matita e quel maledetto squilla una seconda volta: tirititì! Questo era un messaggio. Oddio, non mi dire che è di nuovo…Matteo aspetta che se ne vada la scritta “attendere prego”. E sbrigatee..che è? “se attivi TIM TRIBU entro..” ma vvaffanculo! Ancora! Mica danno pace questi oh..e cancella l’ennesimo sms promozionale che da un paio di mesi a questa parte arriva in continuazione. E’ assurdo, teorizza Matteo, questa gente non ha più dignità..si attaccano ai soldi di un poveraccio di utente qualunque con una tale insistenza..devono essere proprio alla frutta ormai, stanno tutti o con Vodafone o coi videofonini Tre! E noi che n’ce ne frega niente di premi, concorsi, offerte agevolazioni e vinci una cena co Ilary Blasi e vinci una suoneria con Paris Hilton che dice “meglio cambiare, no?” o un coniglio che canta l’ultima di Mika? E mentre è intento a maledire mentalmente quest’invasione di spot “al ribasso” (cerebrale), viene ricondotto nella chiassosa realtà dal tirititì! che lui stesso ha scelto come suono ma che comincia a infastidirlo. Oddio ma così non si può! Dai, che stavolta è Francesca, magari mi invita a passare da lei che ha casa libera…”attendere prego”(rullo di tamburi ..) “TIM: vuoi avverare i tuoi desideri?”magari…BASTA PUBBLICITA! Matteo cancella nervosamente anche questo messaggio, e rosica ancora di più se pensa che l’eccesso di messaggi in memoria(e magari ce n’erano nella lista anche alcuni della TIM) ha fatto si che quello scassatissimo telefonino autocancellasse l’unico messaggio di Francesca(e tralaltro anche unico messaggio di una ragazza presente in lista apparte quello di Paola, che però è la secchiona del corso e gli ha inviato i numeri delle pagine da fare per Storia Contemporanea) per fare posto a un altro di quegli ammorbanti messaggini pieni di punti esclamativi,che a leggerli sembra di vedere una bonazza con labbroni e dentoni e sorrisone patinato pronunciare quella frase con voce suadente.
    Dopodiché schiaffa il telefonino( che non è manco un vecchio modello)dall’altra parte del tavolo, ma non abbastanza lontano da non sentire lo strano “bip” che l’ordigno/prodigio della tecnica moderna emette. ...

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    Last Post by Zelig il 9 July 2013
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  5. Feliz Navidad Cuba!
    racconto per adolescenti

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    (racconto per ragazzi?)

    Odio i miei familiari. Ma quanto li odio.

    Lo so, l’ho già sentita, è scontato ma non lo pensi veramente ma pensa se non esistessero, per carità! Solo lo dico, non mi sembra di uscirmene con discorsi così astrusi, così incomprensibili o impossibili da condividere. Anzi! Non è proprio nello spirito de sto benedetto Santo Natale – e ben in linea co sta perenne crisi per di più – che idee come riscoperta dei veri valori, calore umano, dialogo, consumo critico dovrebbero essere abbracciate? Quand’è che la gente smetterà de girà cogli occhi foderati di prosciutto ed ammetterà che spendere e spandere un sudatissimo salario non è proprio il massimo della vita, che il sabato preferisce passarlo a giocare a pallone col figlio nel parco sotto casa?
    Vabbè, mò tanto è inutile parlare. Ci sono dentro fino al collo, e coi miei predicozzi sul valore dei rapporti interpersonali non mi sono certo data una mano. Mi tocca. Stampati un sorriso e ringrazia; natale ai Caraibi, il massimo secondo i più. Intrappolata in un film di Vanzina senza nemmeno l’intervallo per la pipì.
    Il viaggio è stato organizzato nei dettagli: papà ha rimediato un’offertona tutto – ma proprio tutto - compreso. Partenza ventidue dicembre ore otto e trenta da Fiumicino, scalo a Madrid Barajas, poi tutta ‘na tirata fino a la Habana José Martì che al solo pensiero di dieci ore sepolta viva in un aereo mi sento male. Giunti all’aeroporto, come da programma, c’è ad aspettarci l’amena navetta con condizionatore a meno quindici e salsa sparata al massimo sopportabile dal timpano umano alla soglia del dolore. Carica in blocco il gruppo e i bagagli per trasportarci direttamente al Sunrise Resort Varadero quattro stelle di comfort per le tue vacanze definite indimenticabili ma è uguale a un qualsiasi altro hotel di lusso-che-non-potrei-permettermi-in-un-paese-più-ricco davanti a una bella spiaggia esotica. Il planning prevede permanenza di una settimana al Resort che comprende visite guidate all’Avana e un giorno alle fabbriche di tabacco di Pinar del Rìo , animazione diurna e notturna (leggi: pisolino postprandiale impossibile), per non parlare del momento clou del soggiorno interpretato dall’organizzazione delle cerimonie natalizie tra la sera del ventiquattro e la giornata del venticinque, un estenuante e ciclopico programma di attività che tentavano di conciliare la tradizione natalizia nordamericana con i costumi caraibici. Coinvolgente ed inevitabile come un tornado, pacchiano in un modo che la mia mente non sarebbe stata capace di partorire. Come esperienza sociologica sarebbe non poco interessante, da tesi di dottorato quasi, ma allo spirito del ricercatore prevale in me il bisogno di non minare una già precaria sanità mentale partecipando di proposito ad un tale evento traumatico. Dal momento in cui vengo a conoscenza di tutto ciò comincio in segreto ad elaborare ipotesi e progetti per defilarmi al momento opportuno e lasciare ai miei cari il...

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