1. Scale Mobili

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    By Zelig il 13 July 2013
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    Venerdi 12 luglio 2013

    Risalendo le scale della fermata Baldo degli Ubaldi.
    Interminabili.
    Grigie, o meglio argento ossigenate, e nere di grasso e gomma.
    Una minaccia inevitabile ed incombente come il Giorno del Giudizo sulle mie scarpette da tennis nuove di 3 ore circa, di un bianco che te devi mette l'occhiali da sole.
    Ancora più disturbante, la presenza di una punta di laccio pericolosamente sporgente verso le grinfie senza pietà degi scalini meccanici.
    Vista dai qui, sembra un incubo.
    Un'inquadratura alla Dario Argento.
    Le mie gambette, le scarpe immacolate in contrasto completo con lo sfondo:
    Un'imponenza stalinista di tre filedi scaloni mobili in incessante moto, minacciosi.
    lo scalino nasce e muore nel giro dei tre minuti che ci mette a raggiungere la fine della prima scala.
    Me paro Paura e Deadlirio a Las Vegas.
    Last Post by Zelig il 13 July 2013
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  2. La metro

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    By Zelig il 11 July 2013
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    Una zingara all’entrata si accompagna col suo scatolino musicante ed un microfono, per cantare con voce da fado “ai se eu te pego”.

    Come altri che si sentivano i più furbi, abbiamo camminato fino alla fine della banchina per sperare di incappare in un angolo arancione di posto a sedere libero, ma ovviamente a quest’ora speranze del tutto vane.

    Ritmo netto, regolare. La metro lo sai quando parte piano, può accelerare fino alla fermata perché nessuno si frappone tra lei e le rotaie in galleria.
    Nella norma.

    Ovviamente madame arguzia ha sbagliato senso di marcia. Mi accorgo di essere a Spagna e scendo sconcertata dalla mia idiozia e dal male che mi fanno i piedi.

    Incrocio uno squadrone di turisti americani che più stereotipo non si esiste, che poi lo fanno apposta, magari hanno la mia età ma adorano esibire i loro colori di battaglia manco fossero Sioux, la loro americanitudine mecdonalds tanto poco sopportata e dai Sioux e qui in Europa. A parte che siano clientela pagante è ovvio.

    Cappelli, shorts e addirittura una maglia a stelle e strisce proposta da un cristone biondo dallo sguardo vacuo che esibisce con una certa fierezza la canotta della sua confraternita al college, la quale riporta il disegno del perimetro statunitense coi colori della bandiera, insieme ad uno sgargiante “Kappa Tau Theta” in giallo.

    Geordie Shore o quasi.

    Pensare che certi personaggi , per noi italiani i protagonisti delle serie tv adolescenziali con le quali siamo cresciuti, siano persone vere.

    Lo so , è snob e ignorante quello che dico.
    Ma un fondo di credibilità in quel mito del vincente del liceo o del college che ci propinano ci dovrà essere. Qualcuno davvero vive per quel sogno.
    Forse anche noi, senza accorgercene.
    Last Post by Zelig il 11 July 2013
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  3. In Caserma

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    4 giugno 2013

    Al maggiore Ugo de Carolis la caserma é dedicata.
    Odore di frittura di pesce e una piccola sala d'attesa con poche poltroncine macchiate color acquamarina.
    Aspettiamo in quattro.
    Un uomo anziano, dall'aria confusa, si stufa del caldo opprimente e fa per entrare nell'ufficio dell'appuntato senza attendere di essere chiamato.
    Il carabiniere reagisce: "Come ti permetti di entrare qui! Lo sai che ti devo chiamare io, Benito!".
    Il vecchietto reagisce alzando la voce, pare voglia tentare minacce alla mafiosa in romanosardo. Il carabiniere dev'essere abituato alla sua presenza, perché sembra non prestargli troppa attenzione; risponde a mezza bocca e dopo poco lo fa entrare.
    Il vecchietto deve firmare. é in libertà vigilata.
    Non uno che lavora qui non viene dal Sud Italia.

    Edited by Mannaiaalleminne - 13/7/2013, 11:41
    Last Post by Zelig il 10 July 2013
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  4. IO

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    By Zelig il 10 July 2013
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    2007
    IO.
    Io vedo.
    Io ho una corretta percezione delle cose.
    Io sono sana.
    Io ho i cinque sensi sviluppati al massimo delle loro facoltà.
    Io so leggere e scrivere.
    Io ho fatto tutte le scuole.
    Io ho una casa.
    Io vado in vacanza.
    Io faccio shopping.
    Io vado al cinema.
    Io ho un mio mezzo di locomozione.
    Io ho una famiglia.
    I miei genitori sono vivi e mi vogliono bene.
    Io ho degli amici.
    Io mi diverto.
    Io ho tempo e modo di riflettere.
    Io posso sognare.
    Io sono una viziata figlia unica occidentale.
    Io ho la tv, il computer, il frigo pieno, il letto caldo.
    Io vivo in un paese sviluppato, basato su un’economia capitalista.
    Io ho armadi di vestiti che non metto perché non mi piacciono più.
    Io ho la donna delle pulizie.
    La mia laurea, il mio diploma valgono anche all’estero, negli altri paesi sviluppati.
    Io posso andare in Brasile e comprarmi una casa con un anno di paghette.
    Io ho tutti gli organi funzionanti.
    ……e non me ne ero mai accorta.
    Last Post by Zelig il 10 July 2013
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  5. Pensieri su di un bar da una ragazza maleducata di buona famiglia

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    Venerdì 5 luglio 2013 – Bar Revenge, viale Manzoni


    Caffè freddo in un bar gestito da una coppia di cinesi che si chiama “Revenge”, e mi parte l’idea che sia alla faccia dell’altro bar più grande e frequentato che sta proprio sopra l’uscita della fermata della metro come un’oasi d’aria condizionata dopo il monte delle scale mobili.
    E comunque, questo caffè freddo di Shangai, a me che il caffè freddo non m’è mai piaciuto, sembra ottimo.
    A un tavolino in tovaglietta blu alla mia sinistra, un uomo in jeans e occhiate tra l’ansioso e l’imbarazzato tenta un paio di partite alla slot machine.
    Hai capelli sale e pepe, un enorme orologio col cinturino verde acido e lo sguardo ora completamente assorto verso lo schermo colorato.
    Rigira la pila di gettoni nella mano come strofinasse stile rituale la palla prima del lancio decisivo nei film sul baseball.
    Gianna Nannini su Radio Subasio ci ricorda che neanche il più grande degli artisti può produrre solo capolavori vita natural durante.
    Qualcuno dovrebbe dirlo a Woody Allen.
    Lo scroscio di gettoni contro la lamiera attira la mia attenzione; l’uomo sa il fatto suo a “Eggstra Fowl play”.
    In tutto questo non è da tralasciare la restante clientela del Revenge.
    A parte turisti e passanti sfiniti che entrano ed escono per acque o ghiaccioli, all’altro capo del locale in un tavolino solitario, siedono senza avere l’aria di doversi curari di affari impellenti altri tre avventori, la cui terra di origine non mi é del tutto chiara. Uno dei tre è senza dubbio sudamericano, quei tratti caratteristici come se la Cordigliera glieli avesse marcati addosso.
    Bevono birra e sul tavolo c’è anche qualcosa di scuro con ghiaccetti che pare amaro o simili.
    Guardano i passanti. Ogni tanto scoppiano in risate complici, ma che mi danno l’impressione di avere un qualche retrogusto di triste.
    L’andino, che mi aveva guardato al mio ingresso nel bar, trova una sorta di scusa per avvicinare gli occhi alla tasca posteriore dei miei shorts quando devo passargli vicino per andare verso il bagno.
    Proprio mentre scrivo queste very ultime parole, sul mio braccio sinistro si spalmano i glutei di una turista di età imprecisata, direi decisamente over 35, che si siede accanto a me con un'amica a prendere un caffé. Come te sbagli, non ce la faccio ovviamente a desistere dall'intromettermi nei loro discorsi riguardo il cenare nel suddetto bar Revenge,nei quali guardano le figure del menù con speranzosa ingenuità. Tento di proporre loro un posto decente dove cenare, che i fatti miei proprio non me li so fare, il tutto in un baretto minuscolo e poco popolato e quindi facilmente udibile dai poveri gestori.
    Non sembrano convinte, comunque se ne vanno.
    Credo che l'uomo alla slot alla fine abbia perso.

    Edited by Mannaiaalleminne - 13/7/2013, 11:43
    Last Post by Zelig il 10 July 2013
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  6. BOZZA ROMANZO

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    Tratto da una storia vera



    Tutto era finito eppure non era affatto come l’avevo immaginato.
    Erano ormai passati un anno e sei mesi dall’arrivo degli americani a Roma, arrivo che aveva finalmente ricongiunto le “due italie” in lotta – i fedeli del fascio contro i partigiani e gli incalzanti alleati- e che aveva quindi permesso alle famiglie di avere notizie dei parenti sparsi in altre regioni. Finalmente zia Teresa e mia mamma avevano potuto ricevere le rispettive lettere, e rassicurarsi: mia zia riguardo alla figlia, mia cugina Maria, che era qui con noi per studiare. Mia madre riguardo a come andavano le cose giù a Spinazzola, se c’era da mangiare, se era sicuro mandarci i figli per sottrarli alla fame e all’esasperazione. Perché, ancora in quell’estate e in quell’autunno del ’45, al sollievo - parziale - degli animi non era seguito il sollievo dei corpi: nonostante avessimo visto coi nostri occhi quel vero pane di un bianco scioccante arrivare con quei soldati che chiamavano liberatori, facevamo ancora a turno per andare con lo sgabello davanti al mercato di Piazza dell’Unità, in quelle ore che non sapevi se definire notte fonda o mattina presto, ad aspettare il debole torpore dell’alba che annunciava la fine del coprifuoco e poi l’apertura alle otto per poter ottenere quei tozzi fatti più con gesso che con farina che chiamavano pagnotte cirioline.
    Fu principalmente per questo che mia madre decise che insieme a Maria che tornava giù in Puglia sarebbe andato mio fratello Tullio che, allora tredicenne, non poteva sopportare ancora a lungo la scarsità di risorse nella capitale e avrebbe quindi fatto la terza media al paesino agricolo da dove la famiglia di mamma proveniva, e lì avrebbe finalmente ricominciato a crescere in altezza e corporatura. Partirono quell’estate, dopo la fine dell’anno scolastico, a bordo di una camionetta di un possidente spinazzolese che tornava a casa dopo gli affari, i cui figli erano stati allievi di zia Teresa ai tempi della scuola elementare.
    Ricordo che in quell’anno sentii molto la mancanza della mia cugina più grande, del nostro sostenerci e consolarci a vicenda, condividendo la fame, la sofferenza, l’amenorrea, tante paure e segrete domande che ci ponevamo in quegli anni del liceo e della guerra. Di lei ammiravo l’essere allo stesso tempo pervasa da determinazione e da un soffio di quella spensieratezza che mancava ai più, nei mesti tempi che correvano. Quando sedevamo nel giardino, in febbraio, a carpire il più flebile calore che il sole invernale poteva offrirci, io le dicevo “pensa che proprio in questo momento, da qualche parte su uno dei tanti fronti nel mondo, un nostro coetaneo sta morendo, la vita di un ragazzino è recisa, la sua giovinezza rubata, e lui non potrà mai realizzare i suoi sogni, invecchiare coi nipoti..” e cominciava a tremarmi la voce; allora lei posava la sua mano sempre tiepida sulla mia, la stringeva forte, e cercava di rassicurarmi anche se non era che poco più di ...

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    Last Post by Zelig il 9 July 2013
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